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LA SCOPERTA DELLA 'QUALITÀ DI VITA'

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Da molto tempo non andavo più a convegni o seminari di studio ma recentemente, partecipando a un incontro sulla “Malattia maniaco-depressiva”, ho scoperto diverse cose interessanti.

Prima di tutto ho avvertito un’atmosfera diversa dal solito contesto scientifico, priva cioè di quella monotona e rassicurante (?) ritualità fatta di diapositive colme di grafici e numeri. Sono emerse delle parole inusuali e dei concetti dotati di vasto alone semantico come approccio olistico, Qualità di vita, benessere soggettivo, felicità. Allora mi sono detto: qualcosa è cambiato, la psichiatria si sta “riumanizzando” dopo l‘ubriacatura organicista scandita dai vari DSM. Lo spero. Di fatto aver inserito tra i parametri per la valutazione dell’efficacia di una terapia la Qualità di vita, abbreviata con l’acronimo QdV, è di per sé rivoluzionario rispetto ai comuni criteri che negli ultimi decenni hanno imperato, criteri per lo più quantitativi e dettati da logiche farmaco- centriche.

Il paradosso è che tale “rivoluzione”, a ben guardare, non è altro che l’irruzione del buon senso in un contesto “scientifico”. Per me, che pratico da 25 anni la Medicina Olistica, è curioso sentirne parlare come di un’importante novità, fa tenerezza ascoltare colleghi appassionarsi per dei concetti o delle evidenze per me implicite nella normale attività quotidiana. Meglio tardi che mai! Finalmente gli psichiatri si sono resi conto che non è sufficiente incasellare il paziente entro etichette diagnostiche sempre più sofisticate, funzionali a protocolli terapeutici sempre più aggiornati, per capire se quella persona sta veramente meglio e se la sua QdV è migliorata o no. Occorre ben altro, occorrono pazienza, capacità di ascolto e di empatia, assenza di preconcetti e di ideologie, in una parola tutto ciò che i grandi della psichiatria fenomenologica come Danilo Cargnello, Bruno Callieri, Eugenio Borgna da sempre vanno dicendo, inascoltati.

Queste “nuove” parole, vere e proprie intruse perché appartenenti al linguaggio comune, hanno creato comunque problemi e non sono sfuggite alla smania di quantificare e standardizzare ogni fenomeno.

Ma come si fa a quantificare un concetto così vasto come la QdV? Si tratta di un concetto filosofico in primis, ma anche psicologico e sociologico (vedi definizione di Salute dell’OMS )e, comunque, SEMPRE soggettivo. E allora ho visto enumerare dal relatore teorie su teorie, scale di valutazione le più varie, nel goffo tentativo di ridurre a oggetto misurabile una vita nella sua complessità, nella sua univocità e, perché no, nella sua contraddittorietà.

Allora mi son detto: ci risiamo! Rientra dalla finestra ciò che era uscito dalla porta. Meno male che la conclusione è stata di non fidarsi troppo delle scale, siano esse di auto che di etero-valutazione.

Ma perché non possiamo una volta per tutte, con umiltà, ammettere che è la qualità della relazione che instauriamo col nostro paziente l’UNICO vero parametro, la vera bussola su cui basare la valutazione del caso, impostare il percorso comune che ci porterà a una migliore QdV sia del paziente che nostra?

E’ questo coraggio che manca ancora a gran parte degli psichiatri, anche a quelli che pur meritoriamente iniziano a porsi in modo critico nei confronti di assiomi e dogmatismi ormai privi della forza di un tempo. Non si riesce ad abbandonare del tutto il paradigma oggettivante-quantitativo delle scienze naturali e della biologia, pur sapendo che è improprio applicarlo alla Medicina e tanto più alla Psichiatria.

Senza l’ausilio di “filtri” diagnostici la professione dello psichiatra, ma anche del medico tout court, è molto ardua e pericolosa perché ci espone al confronto impietoso con una sofferenza per lo più incomprensibile e sfuggente e a misurarci con la nostra impotenza. La diagnosi è quindi NECESSARIA ma non deve essere né un alibi né tanto meno un muro che ci impedisca di entrare in una relazione vera col paziente.

Se noi conosciamo il paziente e lo seguiamo con attenzione nel tempo capiamo con facilità se la sua QdV sta migliorando o no, ci sarà sufficiente ascoltarlo essendo-con-lui.

La mia posizione privilegiata di omeopata e psichiatra mi permette più agevolmente questo tipo di approccio e di relazione e mi auguro che possa essere così anche per quei colleghi nella cui mente e nel cui cuore si è inserito il tarlo del dubbio e del buon senso.

Andrea Bolognesi 15/11/09

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